Per trattare il tema delle responsabilità in cui può incorrere la figura del Safeguarding, occorre fare un’attenta analisi delle sue competenze che, come rilevabile dalle Linee Guida CONI, sono diverse. È indubbio che lo svolgimento di un incarico affidato dall’organo amministrativo di una ASD o di una SSD comporta l’instaurazione di un vincolo di natura contrattuale.
La responsabilità, ad esempio, potrebbe derivare dalla mancata gestione delle segnalazioni ricevute da una vittima di abuso o da un’inadeguata implementazione delle misure preventive del MOGC. In entrambi i casi, sarà necessario accertare la presenza di un danno diretto per l’Ente, causato da una condotta negligente o imprudente del Safeguarding.
Una seconda forma di responsabilità civile potrebbe essere di natura extracontrattuale, configurabile nell’ipotesi in cui il comportamento inadeguato del Responsabile abbia arrecato un pregiudizio a un soggetto terzo (dipendente, atleta, spettatore…) e non all’Ente. Ad esempio, una gestione inadeguata delle informazioni raccolte in sede di segnalazione di un abuso potrebbe determinare una violazione della disciplina della privacy con ripercussioni dirette sulla vittima.
Il Safeguarding potrebbe incorrere anche in una responsabilità di natura penale, concorrendo con l’autore di un reato commesso all’interno del sodalizio sportivo. Basti pensare a un istruttore che, durante alcuni allenamenti, insieme al Responsabile compia atti configuranti il reato di molestia ai danni di un atleta. Potrebbe configurarsi anche una responsabilità penale per una condotta omissiva del Safeguarding, qualora non abbia posto in essere attività di vigilanza e/o controllo all’interno della struttura, facilitando o agevolando la commissione di un reato da parte di un soggetto terzo.