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Registro Unico del Terzo Settore (RUNTS) – modalità operative a seguito del decreto attuativo n. 106/2020

Registro Unico del Terzo Settore (RUNTS) – modalità operative a seguito del decreto attuativo n. 106/2020

Modalità di iscrizione e cancellazione, trasmigrazione iniziale, aggiornamento delle informazioni, uffici competenti e sezioni del Registro. Un approfondimento sul tanto atteso decreto attuativo del RUNTS

Con il decreto n. 106/2020 del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 21/10/2020 n. 261 Serie Generale, si hanno finalmente, ad oltre tre anni dall’emanazione del D.Lgs. n. 117/2017 che ha istituito il cosiddetto “Codice del Terzo Settore”, le modalità operative del Registro Unico del Enti del Terzo Settore (RUNTS).

Il processo di attuazione della Riforma non è ancora concluso, tuttavia adesso si possono avere delle tempistiche più sicure circa l’inizio della relativa operatività; difatti, come previsto nell’art. 30 del decreto n. 106/2020, Il ministero del Lavoro, in base all’evolversi dei lavori per la creazione della piattaforma telematica (affidata ad Unioncamere) fisserà una data specifica dalla quale inizierà il popolamento del Registro: tale data dovrebbe collocarsi tra i mesi di marzo ed aprile 2021.

Contenuto del decreto n. 106/2020 attuativo del RUNTS

Il decreto n. 106/2020 contiene il complesso delle regole operative del RUNTS così come disposto e previsto dall’art. 53 del Codice del Terzo Settore (D.Lgs. 117/2017). Tale documento individua le procedure di iscrizione e cancellazione degli enti al Runts, le modalità di deposito dei documenti, le regole di conservazione e di protocollocazione di tutte le comunicazioni, l’aggiornamento delle informazioni, la pubblicità dei dati, le modalità della trasmigrazione iniziale degli enti, le comunicazioni ed i rapporti tra Runts ed il Registro Imprese, il trattamento dei dati per la privacy, l’organizzazione dei vari Uffici interi al Runts. Allegati al testo del decreto vi sono, poi, n. 3 inserti (allegati A, B e C) che contengono informazioni precise circa la piattaforma informatica, le modalità tecniche di compilazione delle istanze e dei relativi riscontri (Il RUNTS infatti opererà solo in via telematica).

Il RUNTS e la sua struttura Nazionale e Regionale

Preliminarmente si evidenzia che il RUNTS pone fine alla ramificazione e diversificazione di Registri presenti, ad oggi, nel sistema italiano del non-profit. Infatti vengono abrogati i Registri Nazionali e Regionali delle APS nonché quelli Regionale delle ODV oltre che l’anagrafe delle ONLUS. Tuttavia mentre per le prime due categorie di associazioni (APS ed ODV) ci sarà una trasmigrazione automatica dagli attuali registri al Runts, per le ONLUS il discorso cambia in quanto tale tipologia di associazione scompare con la Riforma del Terzo Settore e pertanto dovrà decidere in quale nuovo tipologia di associazione trasformarsi.

Risulta chiaro che l’intento del Legislatore sia stato quello di avere un Registro unico, chiaro e trasparente che fissi regole comuni per tutte (o quasi) le realtà associative presenti nel Paese. Ricordiamo che l’iscrizione al Runts risulta obbligatoria solo per determinate tipologie associative (che tuttavia rappresentano oltre il 50% dello scenario associativo nazionale) mentre risulta facoltativo per altre (come ad esempio le a.s.d. o le associazioni semplici – culturali)

L’aspetto unitario del Runts si sviluppa, da un lato con la presenza di un Ufficio Statale, istituito presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, e dall’altro con un’articolazione su base Regionale e Provinciale (per le Province autonome di Trento e di Bolzano); tuttavia, al netto dell’autonomia operativa dei singoli uffici, le regole di funzionamento restano uniche per tutto il territorio nazionale.

Le sette sezioni del Runts

Il Runts sarà composto da sette sezioni, come previsto dall’art. 46 del Codice del Terzo Settore:

  1. Organizzazioni di volontariato (Odv);
  2. Associazioni di promozione sociale (Aps);
  3. Enti filantropici;
  4. Imprese sociali, comprese le cooperative sociali. Per tali enti l’iscrizione nel Registro imprese soddisfa in automatico l’iscrizione nel Runts;
  5. Reti associative;
  6. Società di mutuo soccorso;
  7. Altri enti del Terzo settore, a cui sono iscritti gli enti diversi da quelli elencati nelle lettere precedenti.

L’art. 5 del decreto n. 106/2020 prevede che l’individuazione dell’Ufficio del Runts competente è effettuata su base territoriale e quindi competente sarà l’ufficio regionale o provinciale (per le province autonome di Trento e Bolzano) in base alla sede legale dell’ente che si iscrive. Unica eccezione è relativa agli enti iscritti nella sezione “reti associative” per le quali è sempre competente l’ufficio del Runts statale, anche qualora la rete associativa sia iscritta, pure, ad altra sezione (le reti associative sono gli unici enti che possono essere iscritti contemporaneamente a più sezioni). Infine per le imprese sociali l’iscrizione al Registro delle Imprese assolve l’onere di iscrizione al Runts.

Iscrizione e cancellazione degli enti al Runts

Preliminarmente è necessario evidenziare che l’art. 7 del decreto attuativo sancisce un principio importante, ovvero che l’iscrizione al Runts ha effetto costitutivo e costituisce presupposto indispensabile per poter fruire dei benefici previsti dal Codice del Terzo Settore. Inoltre viene precisato che l’utilizzo degli acronimi o delle denominazioni esclusive delle sezioni del Runts può avvenire solo ad iscrizione conclusa, pena, l’irrogazione di una sanzione ex art. 91 del Codice Terzo Settore.

Il decreto attuativo n. 106/2020 disciplina in modo distinto il procedimento di iscrizione al Runts a seconda che l’ente non abbia personalità giuridica (articoli 8-9) oppure sia dotato della personalità giuridica (articoli da 16 a 19) ed, in tal caso, sarà il notaio che dovrà verificare il possesso dei requisiti e depositare i documenti richiesti presso l’Ufficio del Registro unico competente (art.22 del Codice del Terzo settore).

Il decreto attuativo elenca, all’art. 8, i documenti e le informazioni che gli enti dovranno fornire obbligatoriamente al momento dell’iscrizione. Fra questi vale la pena menzionare l’atto costitutivo (in caso di mancanza potrà essere presentata una dichiarazione sostitutiva) lo statuto, che per gli enti non dotati di personalità giuridica dovrà essere, necessariamente, registrato presso l’Agenzia delle Entrate e, per gli enti svolgenti l’attività da uno o più esercizi, l’ultimo o gli ultimi due bilanci consuntivi approvati. Fra le informazioni richieste vi è invece un indirizzo di posta elettronica (Pec), che sarà lo strumento istituzionale di interlocuzione con il Runts e di cui quindi tutti gli enti si dovranno dotare, almeno un contatto telefonico e per le APS ed ODV il numero dei soci con diritto di voto.

In caso di cancellazione dal Runts (autonoma o per perdita dei requisiti), l’ente potrà continuare ad esistere ed essere disciplinato dalle norme del Codice civile e del Tuir, tuttavia dovrà devolvere quella parte di patrimonio che rappresenta l’incremento patrimoniale realizzato nel periodo in cui l’ente risultava iscritto al Runts.

L’aggiornamento delle informazioni e la pubblicità degli atti

L’art. 20 del decreto 106/2020, unitamente al relativo allegato A, definisce le modalità di aggiornamento telematico del Runts indicando un elenco di documenti che gli enti iscritti saranno tenuti a depositare, fra cui:

  • le modifiche dell’atto costitutivo e dello statuto;
  • il bilancio, i rendiconti delle raccolte fondi e, quando previsto, il bilancio sociale (il termine per il deposito è il 30 giugno di ogni anno);
  • le deliberazioni di trasformazione, fusione, scissione, liquidazione, scioglimento, cessazione, estinzione;
  • i provvedimenti delle autorità giudiziaria e tributaria che ordinano lo scioglimento, dispongono la cancellazione o accertano l’estinzione;
  • la comunicazione di perdita della natura non commerciale dell’ente (entro 30 giorni dalla chiusura del periodo di imposta in cui la perdita si è verificata);
  • l’eventuale dichiarazione di accreditamento ai fini dell’accesso al contributo del 5 per mille, se successiva all’iscrizione al Runts.

Oltre a tali atti, gli enti del Terzo settore dovranno anche aggiornare le informazioni fornite in fase di iscrizione, individuate dall’art.8, c.6 del decreto.

Qualora l’ente non adempia all’aggiornamento delle informazioni o al deposito degli atti nei termini previsti, sarà prevista una sanzione pecuniaria per gli amministratori; il perdurante inadempimento a seguito della diffida ad adempiere da parte dell’ufficio del Runts competente avrà come conseguenza la cancellazione dell’ente dal registro unico.

Tutte le informazioni e i documenti contenuti nel Runts saranno consultabili da parte dei terzi in via telematica, attraverso il portale dedicato. Tali atti saranno opponibili ai terzi dopo la pubblicazione, a meno che l’ente non provi che i terzi ne erano a conoscenza (art.52 del Codice del Terzo settore).

La trasmigrazione automatica ed il popolamento iniziale del Runts

Gli articoli del decreto attuativo dal 30 al 38 definiscono le regole per il popolamento iniziale del Runts, in particolare con riguardo alla trasmigrazione delle Odv e delle Aps, e all’iscrizione delle Onlus.

La data centrale per l’inizio di tale processo è quella prevista all’art.30 del decreto e che il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali dovrà individuare sulla base dello stadio di realizzazione del sistema telematico, la quale sancirà di fatto l’operatività del Registro unico.

Da tale momento, che dovrebbe essere collocato tra marzo ed aprile del prossimo anno, inizierà il trasferimento nel Runts delle Odv e delle Aps iscritte nei registri regionali e provinciali, e delle Aps iscritte nel registro nazionale.

Entro 90 giorni dalla data stabilita dal ministero del Lavoro le Regioni e le Province autonome dovranno comunicare al Runts i dati relativi alle Odv e alle Aps iscritte nei registri al giorno antecedente al termine dalla data di operatività del Runts (sono invece 30 i giorni che il ministero del Lavoro avrà a disposizione per comunicare al Runts i dati delle Aps nazionali iscritte al giorno antecedente al termine individuato), per le quali non siano in corso procedimenti di cancellazione.

Partono poi ulteriori 180 giorni entro i quali gli Uffici del Runts dovranno valutare i requisiti per l’iscrizione degli enti di propria competenza, richiedendo a questi ultimi gli eventuali documenti o informazioni mancanti: se la verifica si conclude positivamente l’Ufficio del Runts disporrà l’iscrizione nella sezione corrispondente.

Fino all’iscrizione nel Runts le Odv e le Aps ad oggi iscritte nei registri regionali e provinciali continuano comunque a beneficiare dei diritti derivanti dalla rispettiva qualifica (art.54, c.2 del Codice del Terzo settore).

Le Onlus non “trasmigreranno” invece in automatico nel Runts ma dovranno presentare una autonoma domanda di iscrizione: questo perché la Riforma del Terzo settore ha abrogato la normativa Onlus (tale abrogazione scatterà però solo dal momento in cui entrerà in vigore la nuova parte fiscale del Codice del Terzo settore), e quindi tali organizzazioni dovranno individuare la sezione più adatta del Runts in cui collocarsi.

L’art.34 del decreto prevede che l’Agenzia delle Entrate dovrà pubblicare l’elenco delle Onlus iscritte all’Anagrafe unica alla data antecedente a quella individuata dal Ministero del lavoro ex art.30 del Decreto. Non è posto un termine entro cui tale elenco dovrà essere pubblicato, il quale dovrà essere concordato fra l’Agenzia delle Entrate e il ministero del Lavoro. L’elenco delle Onlus sarà pubblicato sul sito istituzionale dell’Agenzia delle Entrate e ne sarà data comunicazione anche in Gazzetta Ufficiale.

Dalla data di pubblicazione dell’elenco le Onlus potranno presentare domanda di iscrizione al Runts, e lo potranno fare fino al 31 marzo del periodo di imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea (art.101, c.10 del Codice del Terzo settore). L’Ufficio competente del Runts verificherà la presenza dei requisiti (potendo chiedere eventuali informazioni e documenti mancanti) e, in caso di esito positivo, iscriverà l’ente nella sezione corrispondente. Nel caso in cui la Onlus non presenti la domanda di iscrizione al Runts entro il termine del 31 marzo dovrà devolvere il proprio patrimonio.

Infine è utile evidenziare come l’art. 38 del decreto attuativo preveda la possibilità per tutti gli enti diversi da quelli oggetto di automatica trasmigrazione, di poter presentare istanza di iscrizione a far data dal giorno individuato ex art. 30 del decreto; tuttavia si precisa che tale istanza non porterà immediatamente all’iscrizione ma, bensì, alla ricezione di una data dalla quale inizierà a decorrere la procedura telematica ordinaria.

In conclusione appare plausibile una piena operatività del RUNTS entro fine 2021, al massimo entro il 1 gennaio 2022 auspicando, anche, che da quest’ultima data inizi a decorrere anche l’operatività delle norme fiscali le quali attendono il parere di conformità da parte della Commissione Europea. Pertanto, ad oggi, appare probabile, nonché fortemente auspicabile, che dal 1 gennaio 2022 il Codice del Terzo Settore, introdotto nel lontano 2017, diventi, finalmente, completamente operativo.

 

 

Pubblicato il 12/11/2020                                             Avv. Luca Concilio

La figura dell’amministratore e le sue responsabilità specifiche nel Codice del Terzo Settore

La figura dell’amministratore e le sue responsabilità specifiche e generiche alla luce della disciplina delineata nel Codice del Terzo Settore

Il D.Lgs. 117/2017, meglio noto come Codice del Terzo Settore (da ora in avanti cts) introduce, in capo agli amministratori degli enti iscritti al Registro Unico del Terzo settore, delle responsabilità personali, in alcuni casi espressamente sanzionate, che prescindono dal riconoscimento o meno della personalità giuridica dell’ente.

Per comprendere appieno la complessa tematica della responsabilità all’interno degli Enti del Terzo Settore, come delineata nel cts, appare opportuno soffermarci preliminarmente sulle diverse disposizioni che disciplinano l’organo di amministrazione e gestione del sodalizio.

E’ in pratica l’organo “esecutivo” che ha il potere di decidere le iniziative e la politica dell’Ets.

L’ art. 26 del cts prevede che l’organo di amministrazione è nominato dall’assemblea ad eccezione dei primi amministratori che sono designati, in fase di costituzione dell’associazione, con l’atto costitutivo.

I predetti sono scelti in maggioranza tra le persone fisiche associate ovvero indicate dagli enti giuridici associati.

Lo statuto può subordinare l’assunzione della carica di amministratore al possesso di specifici requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza, anche con riferimento ai requisiti al riguardo previsti da codici di comportamento redatti da associazioni di rappresentanza o reti associative del Terzo Settore; si applicano, in tal caso, le cause di ineleggibilità e di decadenza previste dall’ art. 2382 codice civile.

Lo statuto può, inoltre, stabilire che uno o più amministratori siano scelti tra gli appartenenti alle diverse categorie di associati (art. 26, co. 4, cts).

Una volta nominati ed a seguito dell’accettazione dell’incarico, gli amministratori hanno trenta giorni per chiederne l’iscrizione nel RUNTS, comunicando per ciascuno di essi il nome, il cognome, il luogo e la data di nascita, il domicilio e la cittadinanza nonché a quali di essi è attribuita la rappresentanza dell’ente, precisando se disgiuntamente o congiuntamente.

Il potere di rappresentanza attribuito agli amministratori ha carattere generale; pertanto, le eventuali limitazioni a tale potere non sono opponibili ai terzi se non sono iscritte nel Registro Unico o se non si prova che i terzi ne erano a conoscenza.

Nel cts non è definita completamente la disciplina relativa al funzionamento dell’organo amministrativo, in primis non sono indicate le modalità della sua composizione; pertanto, è fondamentale che lo statuto disciplini in maniera precisa i vari aspetti.

L’art. 22 prevede, con specifico riferimento al patrimonio minimo per il conseguimento della personalità giuridica, in capo agli amministratori l’obbligo di convocare immediatamente l’assemblea per deliberare la ricostruzione del patrimonio minimo ovvero la trasformazione, prosecuzione dell’attività in forma di associazione non riconosciuta, la fusione o lo scioglimento.

Estremo rilievo per il mondo delle associazioni e delle fondazioni deriva dall’art. 29 del cts rubricato “Denuncia al tribunale e ai componenti degli organi di controllo”. In relazione a tale articolo, si introduce nel Terzo Settore, il controllo giudiziale dell’ente previsto fino ad oggi unicamente per le SpA (art. 2409 del c.c.).

In base a tale disposizione normativa se vi è fondato sospetto che gli amministratori degli ETS, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione dell’ente, che possano arrecare danno allo stesso, l’ente (associazione, fondazione, rete associativa, ecc.) potrà essere assoggettato a controllo giudiziario. Il controllo giudiziario non è esperibile quando l’illecito comportamento gestionale possa essere finalizzato a ledere interessi esclusivamente “individuali” di taluni soci o di terzi in assenza di un potenziale pregiudizio dell’ente stesso. Il controllo giudiziario per gravi irregolarità degli amministratori può essere richiesto da parte di un decimo degli associati, dall’organo di controllo, dal revisore o dal Pubblico Ministero. Gli enti ecclesiastici sono esclusi dall’applicazione di tale norma attinente al controllo giudiziario.

In relazione alle nuove disposizioni ed ai nuovi obblighi imposti agli amministratori del Terzo Settore, è opportuno distinguere le responsabilità dei componenti dell’organo amministrativo in responsabilità specifiche e generiche. Per quanto attiene alle responsabilità specifiche, l’art. 91 del CTS prevede determinate sanzioni:

– nel caso di distribuzione, anche indiretta, di utili e avanzi di gestione, fondi e riserve comunque denominate a un fondatore, un associato, un lavoratore o un collaboratore, un amministratore o altro componente di un organo associativo dell’ente, anche nel caso di recesso o di ogni altra ipotesi di scioglimento individuale del rapporto associativo, i rappresentanti legali e i componenti degli organi amministrativi dell’ente del Terzo Settore che hanno commesso la violazione o che hanno concorso a commettere la violazione, sono soggetti alla sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000,00 euro a 20.000,00 euro; Il legislatore ha definito la “distribuzione indiretta dell’utile”: • corresponsione di compensi non proporzionati all’attività svolta a chi rivesta cariche sociali nell’ente; • pagamenti a lavoratori subordinati ed autonomi di compensi superiori al 40% rispetto a quelli previsti dai contratti collettivi per le medesime qualifiche, salvo competenze specifiche; • acquisto di beni e servizi a prezzi superiori al valore normale senza valide ragioni economiche; • cessioni di beni e prestazioni di servizi a coloro che a qualsiasi titolo operino nell’ente a condizioni più favorevoli a quelle di mercato; • corresponsione di interessi passivi superiori di quattro punti al tasso annuo di riferimento a soggetti diversi da banche e intermediari finanziari autorizzati.

– nel caso di devoluzione del patrimonio residuo effettuata in assenza o in difformità al parere dell’Ufficio del Registro unico nazionale, i rappresentanti legali e i componenti degli organi amministrativi degli ETS che hanno commesso la violazione o che hanno concorso a commettere la violazione, sono soggetti alla sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000,00 euro a 5.000,00 euro;

– chiunque utilizzi illegittimamente l’indicazione di ente del Terzo Settore, di associazione di promozione sociale o di organizzazione di volontariato oppure i corrispondenti acronimi, ETS, APS e OdV, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.500,00 euro a 10.000,00 euro. La sanzione medesima è raddoppiata qualora l’illegittimo utilizzo sia finalizzato ad ottenere da terzi l’erogazione di denaro o di altre utilità. Le rispettive sanzioni pecuniarie sono irrogate dall’ufficio del RUNTS, delegato alle attività di controllo degli enti, attraverso le proprie sedi territoriali competenti.

Gli amministratori come i direttori, i componenti dell’organo di controllo e il soggetto incaricato della revisione legale dei conti – rispondono nei confronti dell’ente, dei creditori sociali, del fondatore, degli associati e dei terzi, ai sensi della specifica normativa dal Codice civile.

La riforma disciplina, infatti, le responsabilità generiche degli amministratori attraverso un esplicito richiamo alla normativa per le società di capitali: azioni di responsabilità nei confronti della società (artt. 2392, 2393 e 2393-bis del c.c.), dei creditori sociali (art. 2394 del c.c.), dei soci e dei terzi (art. 2395 del c.c.). È ammessa anche l’azione di responsabilità nelle procedure concorsuali (art. 2394- bis del c.c.), affermando, quindi, implicitamente la fallibilità.

Infine nell’ipotesi di conflitto di interessi degli amministratori trova applicazione l’art. 2475-ter c.c. (art. 27 del DLgs. 117/2017), norma che prevede l’annullabilità del contratto concluso da chi ha la rappresentanza dell’ente, se il conflitto era conosciuto o conoscibile dal terzo, e la possibilità di impugnare la delibera adottata dal consiglio di amministrazione con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi, qualora arrechi un danno patrimoniale all’ente.

Alla luce di quanto esposto emerge che la generica responsabilità per gli amministratori prevista dall’art. 18 c.c. con il cts è sostituita con quella “professionale” tipica delle società per azioni.

La diligenza degli amministratori viene, quindi, parametrata alla natura dell’incarico e alla specifica competenza del soggetto, con conseguente necessità per coloro che andranno a comporre l’organo di amministrazione di una preparata e adeguata preparazione tecnica.

Qual è la differenza tra NO profit e NON profit?

Qual è la differenza tra NO profit e NON profit?

Vi sarà certamente capitato, più volte, di sentire le locuzioni “NO profit” e “NON profit” utilizzate nel medesimo contesto, attribuendogli, quindi, il medesimo significato ma vi siete mai chiesti se sono davvero termini interscambiabili o vi sono delle differenze?

Cerchiamo di fare chiarezza sul punto.

NO profit: prendendo spunto dalla definizione fornita dall’Accademia della Crusca, il prefisso “NO” assume il significato di totale negazione e rifiuto del profitto. In pratica tutti gli operatori del settore dovrebbero perseguire ESCLUSIVAMENTE una logica di volontariato, e di attività profusa gratuitamente.

NON profit: dall’inglese “not-for-profit” ovvero senza scopo di lucro, mancato perseguimento di una logica di divisione degli utili eventualmente prodotti. In questo caso vi è o può essere un profitto il quale dovrà essere reinvestito nelle attività perseguite dell’associazione.

A questo punto vi risulterà evidente che i due termini, in realtà, sostengono concetti ben diversi tra loro e, pertanto, se da un punto di vista della grammatica italiana oramai viene usato in maniera indistinta NO e/o NON profit, da un punto di vista prettamente professionale è opportuno parlare più correttamente di NON PROFIT.

Per quanto innanzi, quindi, è essenziale sapere che l’associazione non deve dividere gli eventuali utili tra i soci (concetto base del NON profit) ma anche che è auspicabile ci siano degli utili da poter reinvestire nell’associazione al fine di farne accrescere la struttura; bisogna sdoganare il concetto che “l’associazione deve avere un bilancio entrate uscite in pareggio”, è una dinamica sbagliata sia sotto il profilo gestionale che sotto quello ispettivo in caso di controllo dell’Agenzia delle Entrate. Un’associazione che ogni anno ha un pareggio di bilancio o addirittura delle perdite è un’associazione destinata alla chiusura. Se invece vi è stato riferito che è un bene per l’associazione non avere profitto (ovvero entrate pari o addirittura inferiori alle uscite), vi consiglio vivamente di cambiare consulente.

Pubblicato lo 08/06/2020                               Avv. Luca Concilio

Programma corso intensivo dirigente associativo

PROGRAMMA CORSO INTENSIVO DIRIGENTE ASSOCIATIVO

 

ORE 9.30: ACCREDITAMENTO

ORE 10.00 / 13.00: BREVE PRESENTAZIONE E POI

– cos’è un’associazione – riferimenti del codice civile sulle associazioni (riconosciute e non), sulla responsabilità di chi agisce in nome e per conto (art. 38 c.c.) e le varie tipologie di associazioni presenti nel sistema Non-Profit;

– Come si costituisce un’associazione: atto costitutivo e statuto (gli elementi essenziali che devono contenere con riferimento, anche, a quelli previsti dall’art. 90 l. 289/2002 per le asd e dal D.lgs 117/2017 per i futuri ETS);

– aspetti essenziali di gestione associativa e gli errori da evitare: la procedura per ammettere un nuovo socio, la figura del socio e distinzione dal tesserato, la convocazione dell’assemblea (le forme corrette di convocazione); la redazione del rendiconto economico e/o bilancio sociale.

ORE 13.00: PAUSA PRANZO

ORE 14.00 / 17.00: GESTIONE DELL’ASSOCIAZIONE

– la riforma del Terzo Settore: come adeguarsi, pro e contro dell’iscrizione al Registro Unico, le ultime novità in materia;

– La riforma dello Sport: i lavoratori sportivi, il Registro Coni 2.0 e le ultime novità in merito al Testo Unico dello Sport;

– La nuova disciplina del 5×1000.

ORE 17.00 / 18.00: RISPOSTE A DOMANDE DEI PARTECIPANTI

ORE 18.00: FINE DEI LAVORI

 

 

SPECIALISTI DEL NON PROFIT

Presenta

 corso intensivo per dirigenti associativi

 

Il corso si terrà il giorno 24 ottobre 2020 in Salerno alla via Trento n. 145 c/o Hotel Fiorenza dalle ore 9.30 alle ore 18.00 e sarà incentrato sui seguenti temi:

– COME CREARE CORRETTAMENTE UN’ASSOCIAZIONE (scelta del tipo di associazione, atto costitutivo e statuto, modello EAS);

– COME GESTIRE L’ASSOCIAZIONE (profili amministrativi, contabili, gestione dei soci e di chi lavora in associazione).

Il corso è rivolto a tutti coloro che gestiscono una realtà associativa o che, per qualunque motivo, vogliono approcciarsi a questa tematica per comprendere le basi “essenziali” della materia che, troppo spesso, vengono ignorate portando a gravi conseguenze in sede di accertamento fiscale.

Il corpo docente è composto dai professionisti del team “Specialistidelnonprofit” ovvero dagli avvocati Luca Concilio e Fabio Torluccio e dal Dott. Commercialista Giovanni De Nicola.

Il costo del corso è di € 60,00 (IVA INCLUSA)

Il pagamento del suddetto importo dovrà essere effettuato sul c/c IT25G0100515201000000001934 intestato ad avv. Luca Concilio con la seguente causale: “corso dirigente associativo ________________ (nome del partecipante)”

La contabile del bonifico dovrà essere inviata all’indirizzo e.mail info@specialistidelnonprofit.com oppure tramite messaggio whatsApp al numero 3476023261 per la conferma di partecipazione al corso.

Il numero dei posti disponibili è limitato, in osservanza delle disposizioni anti-Covid, pertanto, le adesioni verranno accettate in ordine di prenotazione.

Per ogni informazione è possibile contattare l’organizzazione a mezzo e.mail all’indirizzo info@specialistidelnonprofit.com o telefono al numero 3476023261 ovvero visitando il sito www.specialistidelnonprofit.com

 

Il corso potrà essere seguito da remoto con modalità che verranno indicate ba seguito dell’ avvenuta iscrizione.   

Modalità e termini per diventare socio di un’associazione

MODALITA’ E TERMINI PER DIVENTARE SOCIO DI UN’ASSOCIAZIONE

La figura del socio è un elemento cardine di ogni realtà associativa, tuttavia, in molti casi, gli aspetti gestionali e documentali inerenti i soci dell’associazione vengono, puntualmente, trascurati portando, in sede di verifica fiscale, a gravi conseguenze per l’ente associativo.

Innanzitutto è utile sapere che il rapporto che si instaura tra il socio e l’associazione è un vero e proprio contratto (seppur atipico) che prevede, come ogni contratto, l’incontro della volontà tra le parti; tale incontro delle volontà si formalizza da un lato tramite una richiesta scritta da parte dell’aspirante socio e dall’altro con una formale accettazione dell’organo direttivo dell’associazione; è solo in seguito alla formale accettazione che si può ritenere concluso il contratto e che, quindi, l’aspirante socio acquista, a tutti gli effetti, la qualifica di socio dell’associazione.

Quanto appena illustrato è, in molti casi, disatteso sia nella forma che nella sostanza; spesso l’associazione ritiene che l’aspirante socio diventa socio dell’associazione dal momento in cui presenta la domanda di ammissione socio e perciò inizia ad elargire i servizi associativi in esenzione fiscale ad un soggetto che, formalmente, non essendo ancora socio dell’associazione non ne avrebbe diritto. Il classico esempio di quanto innanzi esposto è rappresentato dall’aspirante socio di un’associazione sportiva che recandosi presso la sede sociale compila il modulo di richiesta ammissione socio, paga una quota e, contestualmente, entra nella sede sociale ed inizia a praticare l’attività sportiva. In tal caso l’Agenzia delle Entrare, in virtù di quanto sopra indicato, ritiene il contratto non perfezionato e, pertanto, porta a tassazione ordinaria quanto pagato dall’aspirante socio oltre a valutare tale comportamento quale indice di commercialità dell’associazione tale da poter far decadere la stessa dalle agevolazioni fiscali previsti per gli enti non profit.

La corretta procedura per ammettere un nuovo socio, quindi, è la seguente:

  • Presentazione scritta della richiesta di ammissione socio, contenete le generalità dell’aspirante socio, l’accettazione dello statuto e dei regolamenti associativi e dell’obbligo del pagamento della quota sociale, il consenso al trattamento dei dati personali e sensibili con apposita sottoscrizione della modello per la privacy (GDPR);
  • Riunione da parte dell’organo direttivo dell’associazione (o dell’assemblea se previsto in statuto) per la valutazione della richiesta;
  • In caso di riscontro positivo l’organo direttivo verbalizzerà l’accettazione della domanda e contestualmente provvederà ad iscrivere il nominativo nel libro soci dell’associazione; in caso, invece di rigetto della domanda bisognerà avvisare, espressamente, l’aspirante socio il quale potrà fare ricorso all’assemblea dei soci o ad altro organo appositamente investito della carica.

È dal momento dell’iscrizione nel libro soci dell’associazione che l’aspirante socio acquista, a tutti gli effetti, la qualifica di socio dell’associazione con tutti i diritti ed i doveri ad essa connessa.

La procedura innanzi descritta è stata, anche, recepita dal Legislatore il quale l’ha espressamente riproposta nell’articolo 23 del D. Lgs. 117/2017 noto come Codice del Terzo Settore; a tal proposito risulta utile sottolineare che il Codice del Terzo Settore, all’articolo 21, espressamente prevede che l’atto costitutivo dell’associazione deve stabilire una serie di elementi obbligatori tra cui “…i requisiti per l’ammissione di nuovi associati, ove presenti, e la relativa procedura, secondo criteri non discriminatori, coerenti con le finalità perseguite e l’attività di interesse generale svolta;…”.

Nella sostanza, quindi, ogni associazione deve porre estrema attenzione alla corretta gestione documentale ed operativa dei propri soci anche perché deve indicare nel proprio statuto la procedura corretta da seguire e rispettarla; bisogna, quindi, conservare le richieste di ammissione socio, i relativi verbali di accettazione ed avere un libro soci aggiornato. Inoltre, in questa sede, mi preme evidenziare che il socio detiene a vita tale qualifica (la si perde per morte, dimissioni o espulsione per cause disciplinate dallo statuto) e, pertanto, la domanda di ammissione deve essere presentata un’unica volta; spesso molte associazioni confondono la figura del socio con quella del tesserato facendogli firmare, ogni anno, una richiesta di ammissione socio che non solo è superflua e non dovuta ma porta a serie conseguenze in fase di controlli fiscali.

Pubblicato l’11/08/2020                                                            Avv. Luca Concilio

La rivoluzione italiana del Non profit

La rivoluzione italiana del Non profit

 

Sono alcuni anni, ormai, che in occasione di consulenze, convegni ed incontri di vario tipo dichiaro, apertamente, che il modo di fare associazionismo in Italia è cambiato radicalmente e che gli operatori del settore (presidenti e dirigenti) ne devono essere consapevoli onde evitare di commettere errori irrimediabili.

Senza entrare troppo nei dettagli normativi, in questa sede, mi preme evidenziare che le due macroaree del non profit, quella sportiva da un lato e quella sociale dall’altro, hanno subito negli ultimi tempi un radicale processo di riforma che, ad oggi, non risulta ancora concluso.

La creazione di un Codice del Terzo Settore (D.Lgs. 117/2017) e del nuovo Registro Nazionale degli Enti del Terzo Settore (che entrerà in funzione, con buone probabilità, ad inizio 2021) così come la riforma del Registro Coni 2.0 prima e, l’attualissima, riforma dello sport con la creazione di un Testo Unico (in fase di discussione) evidenziano che il mondo NON profit in Italia è diventato, giustamente a parere di chi scrive, un settore di estremo interesse da parte del Legislatore e che richiede, pertanto, un adeguato grado di preparazione e professionalità specifica della materia.

Oggi non è più giustificabile il presidente di associazione che non sia a conoscenza degli aspetti essenziali e degli adempimenti obbligatori da ottemperare. Pensare che si possa continuare a gestire un’associazione come lo si faceva venti anni fa è un vero e proprio auto-gol che porterà, prima o poi, ad avere un bel controllo fiscale.

Il susseguirsi di interventi normativi nel Non Profit è frutto, anche, dell’attenzione ricevuta, negli ultimi 10 anni soprattutto, da parte degli organi ispettivi; ricevere un controllo fiscale in associazione, sino ai primi anni 2000, era un’eventualità abbastanza rara; oggi invece c’è un susseguirsi di attività ispettive nei confronti degli enti non commerciali, quasi una vera e propria caccia alle streghe dettata dalla convinzione generalizzata, da parte degli ispettori del Fisco, che ogni associazione, in realtà, sia un’azienda mascherata.

Nel corso degli ultimi anni gli ispettori sono diventati specializzati nelle contestazioni alle associazioni e, pertanto, il buon dirigente associativo deve essere altrettanto preparato in materia.

Non è più possibile gestire, a mio modesto avviso, un’associazione senza l’assistenza di un professionista della materia; rivolgersi all’amico ragioniere, commercialista o avvocato che si offre di darvi una mano (semmai gratuitamente) nella gestione fiscale amministrativa dell’associazione può rilevarsi disastroso, se non c’è un’adeguata conoscenza della normativa di settore che, come detto, è in continua evoluzione.

Altro aspetto fondamentale da evidenziare è che, in ossequio ad un principio di trasparenza, il Legislatore ha, di fatto, istituito dei registri pubblici (CONI e RUNTS) che obbligano le associazioni a comunicare una serie, importante, di dati; quindi mentre negli anni passati le associazioni erano difficilmente rintracciabili, non se ne conosceva la compagine dirigenziale ne tantomeno i flussi economici che venivano gestiti, adesso, invece, tutto è reso pubblico ed a disposizione non solo delle singole persone curiose ma anche e soprattutto degli ispettori del Fisco che, comodamente seduti dietro ad un pc, possono controllare aspetti fondamentali della vita associativa. Il Registro degli Enti del Terzo Settore sarà operativo a breve mentre il Registro CONI, in virtù della prima bozza del Testo Unico di Riforma dello Sport, sarà trasformato e reso molto simile al RUNTS con il caricamento, in maniera obbligatoria, di dati che oggi risultano opzionali (ad es. il deposito del rendiconto e/o bilancio).

Questo moto di riforma non deve spaventare ma anzi deve essere da stimolo per cambiare l’idea del NON profit in Italia. Siamo abituati ad avere una visione distorta del cosiddetto Terzo Settore inquadrando spesso i suoi operatori come dei probabili evasori. Il Terzo Settore, invece, rappresenta un’asset fondamentale dell’economia del nostro Paese. Il Non profit nei Paesi anglosassoni, ad esempio, è un settore di eccellenza dove operano professionisti iper qualificati ed adeguatamente pagati.

Questa è la strada che anche l’Italia sta iniziando a percorrere e, quindi, è necessario da un lato che gli operatori del settore si specializzino nella materia e, dall’altro, che le associazioni si affidino a tali professionisti, pagando le relative prestazioni. Non sarà più possibile, nel prossimo futuro, per un presidente di associazione pretendere che il consulente lo assista gratuitamente o al minimo sindacale; questa materia è diventata molto complessa ed eterogenea e chi si prodiga nel suo studio deve essere adeguatamente renumerato.

Gli specialisti del non profit nasce proprio per assecondare questa continua esigenza di professionalità in materia; La nostra consulenza, assistenza e formazione potrà proiettare la vostra associazione nel nuovo mondo del Non profit che si sta delineando.

Avv. Luca Concilio

SOCIO VS TESSERATO ETERNO CONFLITTO

SOCIO VS TESSERATO ETERNO CONFLITTO

Nel corso degli anni, incontrando centinaia di dirigenti associativi, ho potuto constatare che la mancata conoscenza della distinzione tra due figure cardine dell’associazionismo ovvero il “Socio” ed il “Tesserato”, è un punto dolente che accomuna molti operatori del settore NON profit.

Sembra un concetto banale ma il socio ed il tesserato sono due figure ben distinte e separate che, troppo spesso, vengono confuse e/o accomunate con conseguenze anche gravi per la corretta gestione dell’associazione.

Partiamo dalla figura fondamentale di ogni associazione, il socio.

Il socio è la persona fisica (alle volte anche giuridica) che partecipa alla vita associativa, ha presentato una domanda di ammissione ed è stato inserito nel Libro soci dell’associazione previa delibera dell’organo direttivo o assembleare. La qualifica di socio per sua natura non può essere temporanea (se lo è non si parla più di soci ma bensì di clienti) e fa sorgere in capo al soggetto diritti e doveri nei confronti dell’associazione (elettorato attivo e passivo, diritto di convocazione assembleare, dovere di pagare la quota sociale etc.).

Il tesserato, invece, è colui che è legato, tramite, per l’appunto, un rapporto di tesseramento, ad un ente di II Livello (Enti di Promozione, Federazioni, Discipline Associate), a mezzo del quale partecipa alle attività organizzate dal suddetto Ente. Tale figura compare allorquando l’associazione si affilia ad un Ente di II livello (per i motivi più disparati tra i quali l’iscrizione al Registro Coni, la richiesta di nullaosta per la somministrazione di bevande ed alimenti, le coperture assicurative) e tessera, per conto di quest’ultimo (tramite un rapporto cosiddetto di terzietà), i suoi soci e non.

Dunque il socio può essere tesserato o meno così come il tesserato può essere o meno socio dell’associazione (salvo che l’ente di II livello espressamente non richieda che il tesserato sia anche socio dell’associazione) ed, ovviamente, nel caso in cui non sia anche socio del sodalizio associativo non svilupperà i diritti e doveri tipici di tale figura (non dovrà essere convocato per le assemblee, non avrà l’elettorato attivo e passivo, non pagherà la quota sociale etc).

Il rapporto di tesseramento ha valenza, generalmente, annuale.

La confusione tra le due figure innanzi descritte porta spesso ad ORRORI organizzativi dell’associazione ed infatti molte associazioni gestiscono i propri soci come se fossero tesserati e quindi, credendo che il socio abbia una “durata” annuale, fanno compilare ogni anno la domanda di ammissione socio, creano un nuovo libro soci annuale non convocando, quindi, alle assemblee tutti coloro che ne avrebbero diritto.

Pertanto è necessario ricordare che il vincolo associativo non può essere temporaneo; il socio iscritto nel Libro soci vi rimane a tempo indeterminato a meno che non venga escluso dall’associazione tramite apposita procedura (per motivi e con modalità indicate nello statuto).

La mancata conoscenza della corretta distinzione tra socio e tesserato può portare, dunque, ad una gestione errata dell’associazione che sarà, poi, oggetto di facili contestazioni in fase di accertamento.

In conclusione è utile evidenziare che il D.Lgs. 117/2017 (c.d. Codice del Terzo Settore) ha escluso la figura del tesserato dalla disciplina degli Enti del Terzo Settore. Tale fattispecie dovrà essere oggetto di specifica regolamentazione onde evitare degli errori gestionali da parte delle singole associazioni soprattutto per quelle che saranno iscritte sia al RUNTS (Registro Unico Nazionale degli enti del Terzo Settore) che al Registro Coni.

Pubblicato il 15/10/2019                                                                                                                                      Avv. Luca Concilio

MODELLI DI BILANCIO ENTI DEL TERZO SETTORE

MODELLI DI BILANCIO ENTI DEL TERZO SETTORE

Il D.Lgs. 117/2017 (c.d. “Codice Terzo Settore”) prevede all’art. 13 co. III, l’adozione di una modulistica ad hoc per gli schemi di bilancio degli ETS (Enti del Terzo Settore); tale modulistica doveva essere definita con apposito decreto del Ministero del lavoro e politiche sociali. In data 18/04/2020 l’attesa è finita ed è stato, finalmente, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali del 5 marzo 2020 con il quale viene adottata la modulistica per i bilanci degli Enti del Terzo Settore. Si tratta in particolare di quattro modelli e più precisamente: Mod. A) per lo stato patrimoniale, Mod. B) per il rendiconto gestionale, Mod. C) per la relazione di missione e Mod. D) per il rendiconto per cassa. Preliminarmente è opportuno ricordare che, ai sensi dei commi 1 e 2, del citato articolo 13 del D.Lgs. 117/2017 (c.d. “Codice Terzo Settore”), gli enti del Terzo settore con ricavi, rendite, proventi o entrate comunque denominate non inferiori a 220.000 euro devono redigere un bilancio di esercizio formato da stato patrimoniale, rendiconto gestionale e relazione di missione; gli enti con ricavi, rendite, proventi o entrate comunque denominate inferiori a 220.000 euro possono predisporre un bilancio in forma di rendiconto per cassa.

Il su citato Decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali recante: “Adozione della modulistica di bilancio degli enti del Terzo settore”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 102 del 18 aprile 2020, stabilisce, tra l’altro, che gli schemi di cui al presente documento devono essere considerati come schemi “fissi”, non suscettibili quindi di adattabilità alle diverse esigenze del singolo ente; tuttavia gli enti destinatari degli schemi possono ulteriormente suddividere le voci precedute da numeri arabi o da lettere minuscole dell’alfabeto, senza eliminare la voce complessiva e l’importo corrispondente, quando questo favorisce la chiarezza del bilancio. Possono, altresì, raggruppare le citate voci quando il raggruppamento è irrilevante o quando esso favorisce la chiarezza del bilancio. In questo contesto, gli enti che presentano voci precedute da numeri arabi o voci precedute da lettere minuscole con importi nulli per due esercizi consecutivi possono eliminare dette voci. Possono, in ultimo, aggiungere, laddove questo favorisce la chiarezza del bilancio, voci precedute da numeri arabi o da lettere minuscole dell’alfabeto. Eventuali raggruppamenti o eliminazioni delle voci di bilancio devono risultare esplicitati nella relazione di missione. E’ bene specificare che le disposizioni riportate nel su indicato Decreto del ministero del lavoro e politiche sociali si applicheranno a partire dalla redazione del bilancio relativo al primo esercizio finanziario successivo a quello in corso alla data della pubblicazione (18/04/2020). In pratica, la modulistica approvata sarà applicabile ai bilanci del 2021 (tuttavia per chi ha anno sociale diverso da quello solare si applicheranno già prima – per esempio chi ha anno sociale 01/09 – 31/08 inizierà ad applicare gli schemi di bilancio già dal 01/09/2020). Risulta utile, infine, ricordare che alcuni adempimenti contabili/dichiarativi in capo agli ETS variano a seconda delle rispettive entrate annuali.

In particolare gli ETS con ricavi, proventi, rendite o entrate comunque denominate:

–    superiori a 100.000 euro devono pubblicare annualmente e tenere aggiornati nel proprio sito internet (o sul sito internet della rete associativa a cui aderiscono) gli eventuali emolumenti, compensi o corrispettivi a qualsiasi titolo attribuiti ai componenti degli organi di amministrazione e controllo, ai dirigenti nonché agli associati (art. 14 co. II D.Lgs. 117/2017 – c.d. Codice del Terzo Settore);

–    inferiori a 220.000 euro devono redigere un rendiconto di cassa (entrate e uscite) da depositare presso il Registro unico del terzo settore (c.d. RUNTS);

–    superiori o uguali a 220.000 euro devono redigere il bilancio di esercizio (stato patrimoniale, rendiconto finanziario e relazione di missione) da depositare presso il Registro unico del terzo settore (c.d. RUNTS);

–    superiori a 1.000.000 euro devono redigere il bilancio di esercizio (stato patrimoniale, rendiconto finanziario e relazione di missione), il bilancio sociale (seguendo le linee guida ministeriali) da pubblicare nel proprio sito internet e depositarlo nel Registro unico del terzo settore (c.d. RUNTS).

I rendiconti e i bilanci approvati devono essere depositati entro il 30 giugno all’interno del Registro Unico del terzo settore (art. 48 co. III D.Lgs 117/2017 – c.d. Codice Terzo Settore).

modelli bilancio terzo settore
modelli bilancio terzo settore

 

Pubblicato il 18/05/2020 Avv. Luca Concilio

COMPENSI SPORTIVI E DIPLOMA TECNICO/ISTRUTTORE

COMPENSI SPORTIVI E DIPLOMA TECNICO/ISTRUTTORE

L’istruttore/tecnico di una associazione o società sportiva dilettantistica può percepire il compenso sportivo solo se è titolare di un diploma rilasciato da una Federazione, Disciplina Associata o EPS? Questa domanda, apparentemente banale, mostra come sia necessario un intervento normativo in materia considerata la presenza, ad oggi, di scuole di pensiero radicalmente opposte. Da un punto di vista puramente normativo nel combinato disposto degli art. 67 e 69 del Tuir, che disciplinano, per l’appunto, i cosiddetti compensi sportivi nella categoria dei redditi diversi, non vi è traccia di richiesta da parte del percettore di alcun elemento qualificante (diploma, corso, laurea etc), mentre, invece, viene posto l’accento sulla natura della prestazione (che deve essere erogata nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche). In sostanza, quindi, la norma fiscale non richiede alcun possesso di diploma. Sul piano sportivo il Decreto Legislativo 23/07/1999 n. 242 (decreto Melandri) ha demandato al Coni la promozione e l’organizzazione della pratica sportiva in Italia e lo stesso Coni non ha, ancora, emanato alcun regolamento per disciplinare la materia dei diplomi formativi (l’unica formazione ad oggi riconosciuta direttamente dal Coni è quella effettuata dallo SNaQ). Per quanto sopra, quindi, giacché il CONI non ha definito quali siano le attività da considerarsi necessarie al raggiungimento degli scopi istituzionali e autorizzate all’utilizzo di cui agli art. 67 e 69 del D.P.R. 917/86 (rimborsi, premi, compensi sportivi dilettanti) e la stessa norma tributaria (cfr art. 67 e 69 Tuir) non contiene alcun ri-ferimento, appare che i predetti pagamenti non necessitano di alcun titolo e/o diploma specifico. Unica nota di riferimento è che tali pagamenti devono essere correlati al-la pratica di una disciplina sportiva dilettantistica siccome qualificata dal CONI nella delibera del 14 febbraio 2017 e successive modifiche ed integrazioni.

In quest’ottica la legge finanziaria del 2018 aveva onerato il Coni all’indicazione delle prestazioni rientranti nella disciplina del trattamento fiscale dei compensi sportivi ma la successiva abrogazione della relativa norma (a mezzo del Decreto “Dignità”) ha fatto tornare in auge l’ interpretazione prevista nella circolare n. 1/2016 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, la quale, non brilla certo per chiarezza. Nella sostanza tale circolare (che, in quanto circolare, non è una fonte del diritto come invece lo sono le norme di legge) ritiene che per poter ricondurre nei redditi diversi le indennità percepite dai collaboratori sportivi sia necessario 1) che il soggetto erogante sia iscritto nel registro pubblico del Coni e 2) che il soggetto percettore svolga mansioni rientranti, sulla base dei regolamenti e delle indicazioni fornite dalle singole federazioni, tra quelle necessarie per lo svolgimento delle attività sportivo-dilettantistiche, così come regolamentate dalle singole federazioni.

Questo secondo aspetto fa ritenere a molti che sia necessario, quindi, per l’istruttore il possesso del diploma “federale” in quanto molte federazioni prevedono nei propri regolamenti il suo possesso per poter svolgere quelle determinate mansioni. Nella sostanza, però, la citata circolare non sancisce in alcun punto che gli istruttori debbano avere un diploma in quanto parla, invece, di regolamenti federali che ben potrebbero disciplinare le mansioni sportive senza richiedere il possesso di alcuna “qualifica”.

In linea di principio è centralmente utile, anzi, necessario che i soggetti preposti alla direzione e controllo della pratica sportiva siano in possesso di specifiche competenze ma senza una linea guida statale o da parte del Coni in materia si rischia, come già si può notare, che ognuno faccia di testa sua. L’indicazione dei criteri e dei requisiti per la formazione dei tecnici, quanto meno negli aspetti essenziali, dovrebbe essere prerogativa esclusiva dello stato o del Coni; ricordo, infatti, che il Coni è organo di diritto pubblico, le sue norme hanno valenza generale nel settore sportivo mentre le federazioni, discipline associate e gli enti di promozione sportiva sono enti di diritto privato le cui regole hanno valore solo all’interno della propria organizzazione. Sostenere la tesi del necessario possesso di un diploma significa, ad oggi, dare un potere troppo forte agli enti ed alle federazioni (le quali, vi ricordo, sono enti di diritto privato e NON pubblico) non suffragato, tra l’altro, da alcun elemento normativo anzi, proprio le norme, non prevedono in alcun punto il possesso di tale requisito.

Tale confusione, tuttavia, dovrebbe venir presto dissipata in virtù della Legge Delega n. 86 dell’08/08/2019, che ha onerato il Governo ad emettere disposizioni in materia di ordinamento sportivo, di professioni sportive nonché di semplificazione. Proprio in merito alla Legge Delega di riordino dell’assetto sportivo italiano, il Ministero dello Sport ha più volte confermato che entro fine agosto 2020 ci sarà la nuova (e si spera chiara) disciplina dei “lavoratori sportivi” (il termine di “lavoratore sportivo” è stato introdotto, per la prima volta, nel decreto “Cura Italia”)….attendiamo con impazienza nella speranza che venga dissipato ogni dubbio in materia.

 

 

Pubblicato lo 05/05/2020 Avv. Luca Concilio