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SOCIO VS TESSERATO ETERNO CONFLITTO

SOCIO VS TESSERATO ETERNO CONFLITTO

Nel corso degli anni, incontrando centinaia di dirigenti associativi, ho potuto constatare che la mancata conoscenza della distinzione tra due figure cardine dell’associazionismo ovvero il “Socio” ed il “Tesserato”, è un punto dolente che accomuna molti operatori del settore NON profit.

Sembra un concetto banale ma il socio ed il tesserato sono due figure ben distinte e separate che, troppo spesso, vengono confuse e/o accomunate con conseguenze anche gravi per la corretta gestione dell’associazione.

Partiamo dalla figura fondamentale di ogni associazione, il socio.

Il socio è la persona fisica (alle volte anche giuridica) che partecipa alla vita associativa, ha presentato una domanda di ammissione ed è stato inserito nel Libro soci dell’associazione previa delibera dell’organo direttivo o assembleare. La qualifica di socio per sua natura non può essere temporanea (se lo è non si parla più di soci ma bensì di clienti) e fa sorgere in capo al soggetto diritti e doveri nei confronti dell’associazione (elettorato attivo e passivo, diritto di convocazione assembleare, dovere di pagare la quota sociale etc.).

Il tesserato, invece, è colui che è legato, tramite, per l’appunto, un rapporto di tesseramento, ad un ente di II Livello (Enti di Promozione, Federazioni, Discipline Associate), a mezzo del quale partecipa alle attività organizzate dal suddetto Ente. Tale figura compare allorquando l’associazione si affilia ad un Ente di II livello (per i motivi più disparati tra i quali l’iscrizione al Registro Coni, la richiesta di nullaosta per la somministrazione di bevande ed alimenti, le coperture assicurative) e tessera, per conto di quest’ultimo (tramite un rapporto cosiddetto di terzietà), i suoi soci e non.

Dunque il socio può essere tesserato o meno così come il tesserato può essere o meno socio dell’associazione (salvo che l’ente di II livello espressamente non richieda che il tesserato sia anche socio dell’associazione) ed, ovviamente, nel caso in cui non sia anche socio del sodalizio associativo non svilupperà i diritti e doveri tipici di tale figura (non dovrà essere convocato per le assemblee, non avrà l’elettorato attivo e passivo, non pagherà la quota sociale etc).

Il rapporto di tesseramento ha valenza, generalmente, annuale.

La confusione tra le due figure innanzi descritte porta spesso ad ORRORI organizzativi dell’associazione ed infatti molte associazioni gestiscono i propri soci come se fossero tesserati e quindi, credendo che il socio abbia una “durata” annuale, fanno compilare ogni anno la domanda di ammissione socio, creano un nuovo libro soci annuale non convocando, quindi, alle assemblee tutti coloro che ne avrebbero diritto.

Pertanto è necessario ricordare che il vincolo associativo non può essere temporaneo; il socio iscritto nel Libro soci vi rimane a tempo indeterminato a meno che non venga escluso dall’associazione tramite apposita procedura (per motivi e con modalità indicate nello statuto).

La mancata conoscenza della corretta distinzione tra socio e tesserato può portare, dunque, ad una gestione errata dell’associazione che sarà, poi, oggetto di facili contestazioni in fase di accertamento.

In conclusione è utile evidenziare che il D.Lgs. 117/2017 (c.d. Codice del Terzo Settore) ha escluso la figura del tesserato dalla disciplina degli Enti del Terzo Settore. Tale fattispecie dovrà essere oggetto di specifica regolamentazione onde evitare degli errori gestionali da parte delle singole associazioni soprattutto per quelle che saranno iscritte sia al RUNTS (Registro Unico Nazionale degli enti del Terzo Settore) che al Registro Coni.

Pubblicato il 15/10/2019                                                                                                                                      Avv. Luca Concilio

MODELLI DI BILANCIO ENTI DEL TERZO SETTORE

MODELLI DI BILANCIO ENTI DEL TERZO SETTORE

Il D.Lgs. 117/2017 (c.d. “Codice Terzo Settore”) prevede all’art. 13 co. III, l’adozione di una modulistica ad hoc per gli schemi di bilancio degli ETS (Enti del Terzo Settore); tale modulistica doveva essere definita con apposito decreto del Ministero del lavoro e politiche sociali. In data 18/04/2020 l’attesa è finita ed è stato, finalmente, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali del 5 marzo 2020 con il quale viene adottata la modulistica per i bilanci degli Enti del Terzo Settore. Si tratta in particolare di quattro modelli e più precisamente: Mod. A) per lo stato patrimoniale, Mod. B) per il rendiconto gestionale, Mod. C) per la relazione di missione e Mod. D) per il rendiconto per cassa. Preliminarmente è opportuno ricordare che, ai sensi dei commi 1 e 2, del citato articolo 13 del D.Lgs. 117/2017 (c.d. “Codice Terzo Settore”), gli enti del Terzo settore con ricavi, rendite, proventi o entrate comunque denominate non inferiori a 220.000 euro devono redigere un bilancio di esercizio formato da stato patrimoniale, rendiconto gestionale e relazione di missione; gli enti con ricavi, rendite, proventi o entrate comunque denominate inferiori a 220.000 euro possono predisporre un bilancio in forma di rendiconto per cassa.

Il su citato Decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali recante: “Adozione della modulistica di bilancio degli enti del Terzo settore”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 102 del 18 aprile 2020, stabilisce, tra l’altro, che gli schemi di cui al presente documento devono essere considerati come schemi “fissi”, non suscettibili quindi di adattabilità alle diverse esigenze del singolo ente; tuttavia gli enti destinatari degli schemi possono ulteriormente suddividere le voci precedute da numeri arabi o da lettere minuscole dell’alfabeto, senza eliminare la voce complessiva e l’importo corrispondente, quando questo favorisce la chiarezza del bilancio. Possono, altresì, raggruppare le citate voci quando il raggruppamento è irrilevante o quando esso favorisce la chiarezza del bilancio. In questo contesto, gli enti che presentano voci precedute da numeri arabi o voci precedute da lettere minuscole con importi nulli per due esercizi consecutivi possono eliminare dette voci. Possono, in ultimo, aggiungere, laddove questo favorisce la chiarezza del bilancio, voci precedute da numeri arabi o da lettere minuscole dell’alfabeto. Eventuali raggruppamenti o eliminazioni delle voci di bilancio devono risultare esplicitati nella relazione di missione. E’ bene specificare che le disposizioni riportate nel su indicato Decreto del ministero del lavoro e politiche sociali si applicheranno a partire dalla redazione del bilancio relativo al primo esercizio finanziario successivo a quello in corso alla data della pubblicazione (18/04/2020). In pratica, la modulistica approvata sarà applicabile ai bilanci del 2021 (tuttavia per chi ha anno sociale diverso da quello solare si applicheranno già prima – per esempio chi ha anno sociale 01/09 – 31/08 inizierà ad applicare gli schemi di bilancio già dal 01/09/2020). Risulta utile, infine, ricordare che alcuni adempimenti contabili/dichiarativi in capo agli ETS variano a seconda delle rispettive entrate annuali.

In particolare gli ETS con ricavi, proventi, rendite o entrate comunque denominate:

–    superiori a 100.000 euro devono pubblicare annualmente e tenere aggiornati nel proprio sito internet (o sul sito internet della rete associativa a cui aderiscono) gli eventuali emolumenti, compensi o corrispettivi a qualsiasi titolo attribuiti ai componenti degli organi di amministrazione e controllo, ai dirigenti nonché agli associati (art. 14 co. II D.Lgs. 117/2017 – c.d. Codice del Terzo Settore);

–    inferiori a 220.000 euro devono redigere un rendiconto di cassa (entrate e uscite) da depositare presso il Registro unico del terzo settore (c.d. RUNTS);

–    superiori o uguali a 220.000 euro devono redigere il bilancio di esercizio (stato patrimoniale, rendiconto finanziario e relazione di missione) da depositare presso il Registro unico del terzo settore (c.d. RUNTS);

–    superiori a 1.000.000 euro devono redigere il bilancio di esercizio (stato patrimoniale, rendiconto finanziario e relazione di missione), il bilancio sociale (seguendo le linee guida ministeriali) da pubblicare nel proprio sito internet e depositarlo nel Registro unico del terzo settore (c.d. RUNTS).

I rendiconti e i bilanci approvati devono essere depositati entro il 30 giugno all’interno del Registro Unico del terzo settore (art. 48 co. III D.Lgs 117/2017 – c.d. Codice Terzo Settore).

modelli bilancio terzo settore
modelli bilancio terzo settore

 

Pubblicato il 18/05/2020 Avv. Luca Concilio

COMPENSI SPORTIVI E DIPLOMA TECNICO/ISTRUTTORE

COMPENSI SPORTIVI E DIPLOMA TECNICO/ISTRUTTORE

L’istruttore/tecnico di una associazione o società sportiva dilettantistica può percepire il compenso sportivo solo se è titolare di un diploma rilasciato da una Federazione, Disciplina Associata o EPS? Questa domanda, apparentemente banale, mostra come sia necessario un intervento normativo in materia considerata la presenza, ad oggi, di scuole di pensiero radicalmente opposte. Da un punto di vista puramente normativo nel combinato disposto degli art. 67 e 69 del Tuir, che disciplinano, per l’appunto, i cosiddetti compensi sportivi nella categoria dei redditi diversi, non vi è traccia di richiesta da parte del percettore di alcun elemento qualificante (diploma, corso, laurea etc), mentre, invece, viene posto l’accento sulla natura della prestazione (che deve essere erogata nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche). In sostanza, quindi, la norma fiscale non richiede alcun possesso di diploma. Sul piano sportivo il Decreto Legislativo 23/07/1999 n. 242 (decreto Melandri) ha demandato al Coni la promozione e l’organizzazione della pratica sportiva in Italia e lo stesso Coni non ha, ancora, emanato alcun regolamento per disciplinare la materia dei diplomi formativi (l’unica formazione ad oggi riconosciuta direttamente dal Coni è quella effettuata dallo SNaQ). Per quanto sopra, quindi, giacché il CONI non ha definito quali siano le attività da considerarsi necessarie al raggiungimento degli scopi istituzionali e autorizzate all’utilizzo di cui agli art. 67 e 69 del D.P.R. 917/86 (rimborsi, premi, compensi sportivi dilettanti) e la stessa norma tributaria (cfr art. 67 e 69 Tuir) non contiene alcun ri-ferimento, appare che i predetti pagamenti non necessitano di alcun titolo e/o diploma specifico. Unica nota di riferimento è che tali pagamenti devono essere correlati al-la pratica di una disciplina sportiva dilettantistica siccome qualificata dal CONI nella delibera del 14 febbraio 2017 e successive modifiche ed integrazioni.

In quest’ottica la legge finanziaria del 2018 aveva onerato il Coni all’indicazione delle prestazioni rientranti nella disciplina del trattamento fiscale dei compensi sportivi ma la successiva abrogazione della relativa norma (a mezzo del Decreto “Dignità”) ha fatto tornare in auge l’ interpretazione prevista nella circolare n. 1/2016 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, la quale, non brilla certo per chiarezza. Nella sostanza tale circolare (che, in quanto circolare, non è una fonte del diritto come invece lo sono le norme di legge) ritiene che per poter ricondurre nei redditi diversi le indennità percepite dai collaboratori sportivi sia necessario 1) che il soggetto erogante sia iscritto nel registro pubblico del Coni e 2) che il soggetto percettore svolga mansioni rientranti, sulla base dei regolamenti e delle indicazioni fornite dalle singole federazioni, tra quelle necessarie per lo svolgimento delle attività sportivo-dilettantistiche, così come regolamentate dalle singole federazioni.

Questo secondo aspetto fa ritenere a molti che sia necessario, quindi, per l’istruttore il possesso del diploma “federale” in quanto molte federazioni prevedono nei propri regolamenti il suo possesso per poter svolgere quelle determinate mansioni. Nella sostanza, però, la citata circolare non sancisce in alcun punto che gli istruttori debbano avere un diploma in quanto parla, invece, di regolamenti federali che ben potrebbero disciplinare le mansioni sportive senza richiedere il possesso di alcuna “qualifica”.

In linea di principio è centralmente utile, anzi, necessario che i soggetti preposti alla direzione e controllo della pratica sportiva siano in possesso di specifiche competenze ma senza una linea guida statale o da parte del Coni in materia si rischia, come già si può notare, che ognuno faccia di testa sua. L’indicazione dei criteri e dei requisiti per la formazione dei tecnici, quanto meno negli aspetti essenziali, dovrebbe essere prerogativa esclusiva dello stato o del Coni; ricordo, infatti, che il Coni è organo di diritto pubblico, le sue norme hanno valenza generale nel settore sportivo mentre le federazioni, discipline associate e gli enti di promozione sportiva sono enti di diritto privato le cui regole hanno valore solo all’interno della propria organizzazione. Sostenere la tesi del necessario possesso di un diploma significa, ad oggi, dare un potere troppo forte agli enti ed alle federazioni (le quali, vi ricordo, sono enti di diritto privato e NON pubblico) non suffragato, tra l’altro, da alcun elemento normativo anzi, proprio le norme, non prevedono in alcun punto il possesso di tale requisito.

Tale confusione, tuttavia, dovrebbe venir presto dissipata in virtù della Legge Delega n. 86 dell’08/08/2019, che ha onerato il Governo ad emettere disposizioni in materia di ordinamento sportivo, di professioni sportive nonché di semplificazione. Proprio in merito alla Legge Delega di riordino dell’assetto sportivo italiano, il Ministero dello Sport ha più volte confermato che entro fine agosto 2020 ci sarà la nuova (e si spera chiara) disciplina dei “lavoratori sportivi” (il termine di “lavoratore sportivo” è stato introdotto, per la prima volta, nel decreto “Cura Italia”)….attendiamo con impazienza nella speranza che venga dissipato ogni dubbio in materia.

 

 

Pubblicato lo 05/05/2020 Avv. Luca Concilio